In tanti, soprattutto all’inizio o se non li conoscono, temono l’uso dei modelli narrativi. Ecco perché non devi temerli, ma conoscerli per scoprire un nuovo universo di opportunità.
Dalla “Poetica” di Aristotele passando per Orazio fino ai giorni nostri, le storie costruite con uno scopo catartico e comunicativo hanno sempre seguito una struttura ricorrente. Quest’affermazione può suscitare timore negli scrittori neofiti che temono, adattando le loro storie a uno schema, di limitarsi a riproporre qualcosa di già raccontato.
Ebbene, c’è un fondo di verità in questo ragionamento: Joseph Campbell, con il concetto del “monomito” esposto ne “L’eroe dai mille volti”, ci fa notare che le storie che ci interessano hanno uno stesso schema, perché hanno tutte lo stesso fine, ovvero insegnarci l’arte di vivere.
Si sente spesso dire che tutto è già stato raccontato, eppure, bramiamo ancora nuove storie. Immagina se qualcuno decretasse che ci sono abbastanza storie per tutti e che non se ne possono più inventare di nuove. Sarebbe una catastrofe!
Quante storie ci appassionano ogni giorno? Senza contare il successo dei remake che rinarrano cose che già conosciamo.
Quindi, il fatto che molti temi siano stati esplorati non dovrebbe scoraggiarci.
La paura più comune di chi aderisce a un modello narrativo è che la trama diventi prevedibile: “Chiunque conosca il modello sa già come andrà a finire la mia storia!”
E in effetti è così. Per lo più l’eroe ha un obiettivo e un difetto, finisce per superare il difetto e raggiungere l’obiettivo. In casi più rari, il protagonista mantiene il difetto e fallisce, ma lo schema è lo stesso.
Questo è così ovvio che persino i bambini lo comprendono. Ricordo di essermi sorpreso notando che mia figlia a quattro anni riusciva già a intuire il momento in cui due personaggi si sarebbero baciati. Sapeva chi erano i personaggi destinati a innamorarsi e quando sarebbe accaduto.
Intuiamo il “cosa” della storia, ma quello che ignoriamo, e che risulta cruciale, è il “come”. Inoltre ci sono molti aspetti che sfuggono ai modelli, come l’originalità dei personaggi, il tono dell’opera, l’atmosfera e così via.
Il modello non è stato creato per sorprenderci, bensì perché si adatta al funzionamento del nostro cervello. Per noi, una storia che non segua determinati schemi appare strana, inverosimile, priva di senso, una perdita di tempo.
Ecco perché ogni autore dovrebbe prendere in considerazione l’apprendimento di un modello fino a padroneggiarlo e utilizzarlo con maestria nelle proprie storie. Ma attenzione: far aderire la narrazione a una griglia narrativa non significa riproporre cose già viste o appoggiarsi a cliché ritriti e tropi banali.
Significa piuttosto essere certi di dotare il racconto di significato.
Infatti, a differenza di come accettiamo la realtà, pretendiamo che le storie abbiano senso. Desideriamo che siano governate da un rapporto causale che nella natura non esiste, anche se spesso lo inseriamo forzatamente.
Per ogni cosa che vediamo nel mondo deve esserci una motivazione chiara e concreta. L’aleatorietà è l’ultima opzione e non desideriamo che entri nelle storie.
Quando la regina Elisabetta è mancata, ricordo il titolo di un articolo che recitava “Ecco di cosa è morta la Regina Elisabetta”, come se fosse necessaria una spiegazione delle motivazioni che hanno portato una signora di novantasei anni a spegnersi.
Un ottimo esempio ci viene fornito da Will Storr nel suo libro “La scienza dello storytelling”. Ci presenta due parole: “BANANE” e “VOMITO”. Poi ci invita a riflettere sul fatto che il nostro cervello abbia fatto una connessione: le banane inducono il vomito.
Quando una storia ci mostra che gli eventi accadono al protagonista come risultato delle sue azioni o delle decisioni prese in risposta a cause esterne, tutto ciò risulta comprensibile, significativo e accettabile. Ecco perché le storie organizzate secondo un modello ci affascinano di più: ogni cosa è sensata.
Ti invito a riflettere su un altro aspetto: molti elementi del modello sono intrinseci a qualsiasi storia, proprio come gli archetipi vengono percepiti istintivamente. Questo significa che, volente o nolente, ciò che c’è di buono nelle storie che amiamo, segue il modello narrativo. Da qui il mio consiglio di farlo con consapevolezza per ottenere il massimo da questo approccio.
Non temere i modelli narrativi! Abbracciane il potere e utilizzali per scoprire l’arte di vivere attraverso le tue storie, conferendo loro un senso profondo e duraturo.