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Natale con i tuoi

Ott 23, 2024 | #Racconti, Comico

Tempo di lettura 8 minuti

Katrin infilò il cappotto. «Grazie dottore, è che io odio lavorare la vigilia di Natale.»

«Come tutti.»

«Sì, ma io m’intristisco proprio, ed è un peccato essere tristi proprio a Natale, no? Lei non va a casa?»

Scosse la testa. «Ho ancora un appuntamento.» Era una bugia, ma tanto Katrin era una segretaria tanto incompetente da non conoscere nemmeno gli appuntamenti del suo principale.

«Allora buone feste!»

La ragazza uscì. Erano le quattro. Giacomo assaporò il ronzio del monitor del suo pc. Fuori faceva buio e le luci natalizie brillavano sopra le vie del centro. Dalla finestra dello studio poteva vedere la cattedrale e le bancarelle del mercatino natalizio, con tutte quelle persone intabarrate a muoversi lente, come una fila di formiche attorno a una torta.

Non aveva più niente da fare. Aveva passato così tanto tempo nello studio negli ultimi due giorni che aveva esaurito tutte le pratiche e ora c’era solo noia. Anche a lui non piaceva lavorare a Natale, che discorsi. Ma gli piaceva ancora meno tornare a casa, nonostante la poltrona massaggiante, il televisore gigantesco, le canzoni natalizie in filo diffusione e gli ottimi biscotti di Dorotea. Avrebbe avuto tanti motivi per voler tornare a casa, certo, e uno solo per non volerlo fare, ma quello bastava: sua suocera Irma da loro per le feste. Quella donna arcigna e malvagia.

Mancava un quarto alle sette. Dorotea si era raccomandata di essere a casa per le otto. Aveva cucinato tutto il giorno e se la sarebbe presa se avesse ritardato. Giacomo sbuffò e si accarezzò la pelata. In qualche modo lo calmava.

Il campanello trillò, inaspettato e improvviso. Come tutti i campanelli.

Chi diamine poteva essere? Che si trattasse degli spettri del natale come nel racconto di Dickens? Ormai lo studio era chiuso da…

Quella stupida di Katrin non aveva messo il cartello.

«Sì? Chi è?»

«Dottore, mi chiamo Ludovico Fumagalli. Sono qui per un’emergenza.»

«Mi dispiace, ma lo studio è chiuso.»

«La prego! Sono disperato, mi deve aiutare! È Natale!»

«Veramente Natale è domani.»

«Domani potrebbe essere troppo tardi per me!»

«Beh, io domani non lavoro, mi scusi.»

«Per l’amore del Bambinello, mi vuole aprire?»

Giacomo sbuffò e premette il tasto del portone. Un omone dalla barba incolta e brizzolata entrò con un berretto in mano.

«Si accomodi. Non ho molto tempo, però.»

L’uomo si sedette senza levarsi giacca e sciarpa. Aveva lo sguardo spaventato e stringeva il berretto con le manone enormi intirizzite dal freddo.

«Mi succede una cosa strana, dottore. Lei mi deve aiutare o non so cosa potrà succedere.»

«Che le capita?»

«Non mi crederà se glielo dico.»

«E lo farò se non me lo dice?»

«Mi deve promettere che mi crederà.»

«Questo non si può fare. Ogni venditore di pentole o aspirapolvere farebbe una fortuna se fosse lecito domandare simili garanzie.»

«No, io faccio il magazziniere.»

«Va bene. E ora corra il rischio e mi dica che cosa succede.»

«Io ho qualcosa dentro. A volte mi capita di avere un rimestamento nello stomaco. Così, di colpo, e poi mi viene un rutto e sento un sapore acido in bocca e nel naso.»

«Sarà un po’ di reflusso. Se prende un gastro protettore prima dei…»

«No dottore! Non è questo il peggio!»

«Allora vada avanti, le ho detto che non ho tempo.»

«Mi viene un rutto aspro e, quando succede… qualcuno muore.»

«Muore.» il suo tono era forse troppo asciutto.

«Sì.»

«E secondo lei è una cosa possibile?»

«Le assicuro di sì. Ma se le dico una cosa, lei promette che non la dice in giro?»

«Sono costretto dal segreto professionale. Prima però compili questo modulo, così potrò mandarle la fattura.»

L’uomo prese una penna e compilò il prestampato, lo spinse verso di lui e lo guardò con uno sguardo tragico.

«Posso?»

«Prego, sto aspettando.»

«Sono io a ucciderli.»

«Beh, allora è chiaro che muoiano. Ma lei mi sta confessando dei delitti, si rende conto?»

«No, io non commetto materialmente l’omicidio! Ma quando desidero che la persona in questione muoia, mi viene quel rutto e quella muore. Immediatamente.»

Il dottore fissò Ludovico Fumagalli negli occhi. L’uomo era sinceramente spaventato.

«Dice davvero?»

«Glielo assicuro. Non sarei qui la vigilia di natale a dirle certe cose. Lei mi deve curare, dare una medicina, non so. Forse sono posseduto dal demonio.»

La cosa, per quanto bizzarra, sembrava terrorizzarlo. «Allora sarebbe dovuto andare da un prete. Ad ogni modo non credo in queste cose antiscientifiche. Ma non tutto può essere spiegato con la scienza, in effetti. Ci dev’essere qualcosa collegato al suo malessere e al suo desiderio di morte. Mi racconti l’ultimo episodio. A quando risale?»

«A ieri pomeriggio. Il mio capo, quel bastardo, mi aveva appena detto che avrei lavorato sia a Natale che a Capodanno, così, appena dietro alle casse, ho pensato “spero che muori, maledetto cane maiale!”. Mi è venuto quel rigurgito…»

«Reflusso.»

«…e una cassa si è spezzata e quella sopra è scivolata giù. L’ha preso in pieno e lui è morto.»

«Caspita, davvero micidiale.»

«Ma io non sono una persona cattiva! Glielo giuro!»

«Certo che no. A tutti capita di desiderare la morte di qualcuno, di tanto in tanto. Anzi, qualcuno darebbe tutto per avere un simile potere.»

«Potere? Questa è una maledizione!»

«Certo, ma non si può non considerare il fatto che lei non centra in alcun modo con le morti di queste persone. Almeno per la legge. Per ciò che si conosce ora, nessuno potrebbe giudicarla colpevole.»

«Grazie, dottore. Che belle parole. Mi fa sentire meglio.»

Giacomo annuì, ma nella mente cominciò a delinearsi il viso raggrinzito e indispettito della suocera. Irma la strega.

«In effetti penso di avere una soluzione al suo problema.»

«Davvero? Oh, grazie al cielo!»

«Sì, era un caso che avevo sentito ancora ai tempi dell’università.» Figuriamoci.

«Perfetto. Mi dica cosa devo fare.»

Massì, in fondo era solo un gioco, uno scherzo. «L’unica cosa da fare, anche se non è nulla di complicato. Deve desiderare la morte di una persona già morta e allora guarirà.»

«Tipo la mia nonna?»

«Mmm. Cosa provava per sua nonna?»

«L’amavo tanto.»

«Allora non funzionerà. Deve disprezzare la persona in questione.»

L’uomo scosse la testa preoccupato.

«Non saprei…»

«Non tema. Ho io la soluzione.» Tirò fuori il cellulare dalla tasca.

Cercò tra le foto in memoria e ne aprì una dell’ultimo compleanno di Dorotea. Irma stava sullo sfondo, guardandolo con tutto il suo astio senile.

«La vede questa donna?» zoomò sulla suocera. «Si tratta di una criminale. Vendeva orfani al mercato nero degli organi, spacciava droga fuori dagli asili e faceva prostituire le sue nipotine minorenni. È morta una settimana fa di sifilide. Che ne dice?»

«Mio Dio! È la persona peggiore del mondo!»

«Già, lo penso anch’io. Si concentri su di lei e dica qualcosa tipo “muori maledetta vecchia”.»

Il viso butterato di Ludovico Fumagalli si contrasse in un’espressione di rabbia e disgusto. «Muori maledetta vecchia!» gridò.

«Bene! Bravo! Ora vedrà che starà bene.»

«Grazie dottore, non so come ringraziarla.»

«Cominci col pagare puntualmente la parcella e sarà sufficiente. Finite le feste la mia segretaria le invierà la fattura.»

Giacomo sollevò il modulo e controllò i dati. «Indirizzo, telefono… c’è tutto. Siamo a posto. Arrivederci, Fumagalli. Le auguro buon Natale.»

Prima di uscire dallo studio era meglio chiamare casa. Uno, due, tre, quattro squilli. Buon segno.
Sorrise all’idea che il potere del Fumagalli avesse funzionato. Sciocchezze.

«Pronto, Giacomo. Vieni?»

«Sì, chiamavo proprio per avvisarti che sto partendo.»

«Sbrigati che la mamma non sta bene.»

Il cuore si piantò ad ascoltare la telefonata. «Davvero?»

«Certo! Sei scemo? Pensi che ti prenda in giro? Ha cominciato a sentirsi male ora, non capisco cos’abbia. Sta cambiando colore e strabuzza gli occhi!»

«Arrivo subito.»

Chiuse la conversazione. Possibile che quello svitato di Ludovico Fumagalli avesse davvero un potere?

Corse all’auto e imboccò la statale.
In fondo era possibile: Fumagalli era stato spingo nel suo studio perché quelle cose dovevano essere successe davvero.
Cosa si poteva fare con un potere come quello?
Si poteva fare un elenco: il nuovo vicino coi gatti, il Bertoldi, la commessa del supermercato vicino allo studio. Poteva farli morire tutti. Avrebbe chiamato Fumagalli e gli avrebbe proposto una terapia. Magari con qualche farmaco sostituendolo con delle vitamine. Qualunque uomo al mondo avrebbe voluto quel potere e proprio quel tonto lo aveva ricevuto. Scherzi del destino, certo, ma l’avrebbe sfruttato. Eccome!

Entrò in casa, il profumo dell’arrosto lo raggiunse dalla sala da pranzo. Doveva solo sopportare le lacrime di Dorotea per un po’. Lei avrebbe seguito la madre all’ospedale, mentre lui avrebbe potuto mettersi davanti alla tv, sulla poltrona massaggiante, con un intero vassoio d’arrosto e patate sulle ginocchia e un boccale pieno di vino rosso posato di fianco. E sua suocera non avrebbe potuto dargli dell’alcolizzato questo Natale. Non avrebbe più potuto dire che trascurava la moglie per il lavoro o chiamarlo “sterile”.

Il miglior Natale di sempre.

Percorse l’atrio pensando alle parole da dire e all’espressione da montare con Dorotea. La peggiore mai avuta, questo era ovvio.

Spalancò la porta ansimando. «Eccomi! Che succede?»

«Finalmente ti fai vedere, ubriacone!» Irma.

Giacomo tentennò, richiuse la porta e lasciò scivolare le chiavi nella tasca della giacca.

«Sta… bene, Irma? Al telefono…»

«Sto bene, sto bene. Mi era andata di traverso un’oliva. Stavi già festeggiando, vero? Razza di sterile bastardo.»

Giacomo scosse la testa a bocca aperta.
Dorotea si affacciò dal corridoio. «Giacomo, hai fatto presto. Tutto bene.» Si avvicinò e lo abbracciò «Scusa se ti ho spaventato. Mettiamoci a tavola.»

Giacomo scrutò la suocera con rigore medico. Sembrava tutto a posto. «Sta bene? È sicura?»

«Benissimo.»

Le donne si spostarono in sala da pranzo, da dove veniva una luce calda e il profumo dell’arrosto. Giacomo tornò all’ingresso per appendere la giacca. Cos’era successo? Qualcosa non tornava. Prese il modulo di Ludovico Fumagalli dalla tasca della giacca. L’aveva portato con sé all’idea di poterlo richiamare e convincerlo a rivedersi. Forse era stato ingenuo, ma Fumagalli non poteva essersi inventato tutto. Anche se…

Caspita! Non gli aveva fatto la domanda più importante. «Arrivo tra un minuto!» urlò « Mi lavo le mani.»

Aprì e richiuse la porta del bagno, tirò fuori il cellulare, fece il numero e lasciò squillare.

«Pronto?»

«Fumagalli, sono io, il dottor Ludibrio.»

«Dottore! Grazie infinite. Sono guarito davvero.»

«Vuol dire che ha fatto una prova?»

«Sì, sì, con un tizio al bar. E non è successo niente.»

«Mi scusi, ma devo chiederle una cosa.»

«Certo, dica.»

«Questa cosa del fatto che dopo il rutto acido qualcuno moriva…»

«Sì.»

«Quante volte le è successo?»

«Una sola.»

Giacomo prese un lungo respiro per reprimere un’imprecazione. «Allora si tratta solo di reflusso gastrico. Se le tornano quei ruttini prenda un antiacido.»

Riattaccò e si diresse al suo posto a capotavola. Dorotea servì la cena, poi tornò in cucina a prendere il cavatappi. Irma si avvicinò con un ghigno malevolo.

«Cos’hai chiesto a Babbo Natale, Giacomo? Gli hai chiesto che si portasse via questa vecchia, eh? Dì la verità.»

«Non dica così, Irma» gli occhi gonfi di lacrime. «Io le voglio bene come se fosse la mia mamma.»

«Figurati. Sai perché Babbo Natale non ti esaudisce?» Aveva gli occhi incastrati tra strati di rughe.

Giacomo scrollò il capo.

«Perché non hai fatto il bravo, porco ubriacone!»

Giacomo osservò il tavolo. Il bicchiere era pieno di vino. Lo raccolse e lo vuotò, si rivolse alla suocera tentando un sorriso. «Buon natale, Irma.»

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