Il cliché: un argomento che, al solo nominarlo, porta alla mente immagini di scene già viste, personaggi già conosciuti, colpi di scena che non sorprendono più. Quando scriviamo, ci muoviamo costantemente su un terreno minato, cercando di evitare la banalità, di distinguere le nostre idee da quelle che sono già state esplorate fino alla saturazione. Ma, in fondo, qual è la vera differenza tra un’idea brillante e un cliché?
Il cliché, va detto, nasce sempre da un’idea che, almeno all’inizio, sembrava geniale. È difficile pensare a un espediente narrativo che non sia, in qualche modo, figlio di un’intuizione originaria. Il problema è che, quando un’idea funziona, viene ripetuta, sfruttata, e spesso abusata. E così, quello che una volta era innovativo e sorprendente, con il tempo diventa prevedibile. È successo a tanti colpi di scena famosi, ai finali inaspettati che ci lasciavano a bocca aperta. Prendiamo l’esempio del finale “era tutto nella sua testa”. Quante volte questo espediente è stato usato per sorprendere il lettore? La prima volta è stato un vero shock. Oggi, invece, quando leggiamo una storia che sembra avviarsi verso un simile epilogo, ci troviamo a prevederlo con un certo anticipo, quasi con un po’ di delusione.
Quello che una volta era un colpo di scena inaspettato e innovativo, oggi appare come una soluzione facile e già vista. Il lettore non è più sorpreso, ma piuttosto frustrato da una narrazione che sembra prendere scorciatoie.
Ma non sono solo i finali a essere vittime di questa trasformazione. Anche interi archetipi di personaggi o strutture narrative possono cadere nella trappola del cliché. L’eroe riluttante che, alla fine, accetta il suo destino e salva il mondo è un esempio perfetto. È una figura che abbiamo visto e rivisto in ogni possibile contesto, dal fantasy alla fantascienza, dai romanzi storici ai film d’azione. Funziona? Sì, ancora oggi può funzionare, ma solo se l’autore riesce a infondere in quel personaggio qualcosa di nuovo, di autentico, che lo renda interessante e diverso da tutte le versioni precedenti.
Scrivere, dunque, diventa una questione di equilibrio. Da una parte, ci sono gli elementi familiari che danno al lettore una sensazione di conforto. Dopo tutto, i lettori non cercano sempre l’innovazione a tutti i costi. Spesso, amano riconoscere certi schemi, certi personaggi, certe dinamiche. D’altra parte, però, c’è la necessità di sorprendere, di dare un tocco di freschezza a ciò che potrebbe facilmente scivolare nella prevedibilità. È qui che entra in gioco la maestria dello scrittore: saper giocare con le aspettative, saper utilizzare i cliché in modo consapevole, magari sovvertendoli o manipolandoli in modo creativo per offrire qualcosa di nuovo o, almeno, insolito.
E la domanda potrebbe essere: gli scrittori non si accorgono di stare usando un cliché? Per mia esperienza mi verrebbe da dire sì, lo sanno. Quando ai miei clienti faccio notare che la soluzione che stanno adottando è super abusata, loro reagiscano come se, in fondo, si aspettassero quel commento. Quello che non li fa reagire da soli è il dubbio che, forse, quel cliché non è così nocivo per la loro storia. Forse è un’idea tanto buona da superare il problema del suo essere di quarta mano.
E spesso c’è un secondo problema: non sanno come produrre un’alternativa. Robert McKee nel suo manuale di sceneggiatura “Story” raccomanda di fare liste e liste di opzioni e di scartare le più banali, così come le prime che ci vengono in mente. Questo potrebbe non essere sufficiente per produrre un espediente del tutto originale (in fondo abbiamo già visto e letto di tutto, no?), ma quantomeno può tenerci lontani dalle soluzioni più banali.
Provare per credere.
La linea tra innovazione e ripetizione è sottile, sì, ma è anche il luogo dove si gioca la vera sfida dello scrittore. Ogni volta che ci sediamo a scrivere, siamo chiamati a trovare quel fragile equilibrio, sapendo che, da una parte, c’è il rischio di cadere nella banalità, e dall’altra, c’è l’opportunità di creare qualcosa di veramente memorabile . E forse è proprio questo il segreto: abbracciare l’incertezza, accettare il rischio, e, fidandosi della propria inventiva, impegnarsi a cercare nuove strade, anche quando il percorso sembra già tracciato.