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Il sorriso della scrofa

Gen 3, 2024 | #Racconti, Horror, Storico

Tempo di lettura 16 minuti

Il cielo era grigio e l’odore di muschio si diffondeva tra le colonne del chiostro. Un nuovo urlo dalla cella di fra Antonio superò il mormorio dei frati in preghiera.
Simone attraversava il cortile per le faccende, si fece il segno della croce e seguì il muro fino alla nicchia col pollaio. La nebbia stava raddensandosi attorno al convento come un cattivo auspicio. Scosse il capo, non doveva dare retta a Padre Umbertino. «La sua è quasi superstizione.»
Nella nicchia lurida le galline sembravano irrequiete.
«Che succede, ragazze mie?»
Ecco cosa: qualcuno era sdraiato di fianco al pollaio. Un uomo robusto, il viso sporco e la barba stropicciata e infarcita di foglie secche. Russava sdraiato contro la muffa scura nell’angolo, le dita intrecciate sulla pancia. Sotto al braccio spuntava il manico di quella che poteva essere un’accetta.
Com’era entrato?
Il ragazzo si voltò a controllare il portico da cui venivano ancora le salmodie dell’ora terza. Spostò lo sguardo al portone: la spranga era calata e il legno integro.
Si chinò sullo sconosciuto e lo scosse. «Fratello?»
L’uomo si riscosse imprecando. Si schiarì la gola e sputò sullo sterco di gallina. «Perdonami, ragazzo. Non ce l’avevo con te.»
Simone sorrise. «Chi siete? Come siete entrato?»
L’uomo si mise seduto. «C’è un buco sotto al muro di cinta. Da fuori si vede bene.»
«Perché non avete bussato al portone? I frati sono qui per aiutare.»
L’uomo lo squadrò. «Tu non sei un frate?»
«Sono novizio.»
«Oh, un novellino. Meglio così. Io… non sono proprio un gran cristiano. Come ti chiami?»
«Simone. E voi?»
«Lucio. Quanti anni hai?»
In quel momento l’urlo di fra Antonio risuonò sopra lo spiffero del vento tra le crepe.
«Diciannove.»
«Chi accidenti è che bestemmia in un convento?»
«Fra Antonio. Da ieri non è in sé.»
«Che gli succede?»
Simone scrollò le spalle. «Mistero. Ma voi? Vi nascondete?»
«Già, per un po’ è meglio se non mi faccio vedere in giro.»
Lucio si alzò. Alla cintura portava proprio un’accetta. Sul manico c’erano macchie scure.
«Ma potresti portarmi da mangiare. È parecchio che digiuno e non è mica Quaresima, no?» rise.
La campana suonò e Simone trasalì.
«Le orazioni sono terminate e io sto facendo tardi. Devo ritirare le uova e aiutare fra Tommaso a mondare la verdura, ma vi porterò qualcosa.»
Si chinò ad aprire la gabbia e raccolse rapidamente una dozzina di uova. Ne porse uno a Lucio. «Vi prego solo di non spaventare le galline.»
L’uomo sorrise, prese l’uovo e lo sollevò a mo’ di brindisi.
«Grazie, fratellino.»
Il ragazzo si affrettò nell’orto e tornò verso la cucina con tre cespi di lattuga. Prima di entrare si voltò. Lucio era tornato nel suo rifugio vicino al pollaio. Doveva essere un brigante, ma in ogni caso bisognava aiutare i bisognosi.
Fra Tommaso e Felice sbucciavano patate attorno al catino. Una nuova bestemmia riecheggiò.
Simone posò la verdura. «Come sta fra Antonio?»
«Non hai le orecchie?» disse Felice.
«Calma» disse fra Tommaso. «Non è il caso di essere sgarbati. Sta come ieri, ma padre Bernardo ha un’idea.»
«Quale?»
«Ha disposto che tu e Felice saltiate lo studio. Ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti.»
Simone cominciò a staccare le foglie al primo cespo. «Per fare cosa?»
Felice sbuffò. «Anche il padre Custode si è fatto convincere da Padre Umbertino.»
«A questo punto ci ha convinti tutti.» Disse fra Tommaso. «Non è evidente? Fra Antonio è posseduto.»
Il silenzio calò nella cucina. Simone tornò ad occuparsi delle verdure. Fra Tommaso si alzò.
«Conto su di voi per il pranzo. Io vado a vedere come sta fra Antonio. Ci diamo il cambio nell’accudirlo ed è arrivato il mio turno.» Il frate uscì.
Felice si alzò, afferrò un secchio e si avvicinò. «Io ho paura. Tu?»
«Non devi. Dio è con noi.»
«Ah sì? E fra Antonio?» Felice scosse il capo. La bocca incurvata in un’espressione delusa. «Vado a prendere l’acqua per la zuppa.»
La zuppa! Simone aveva dimenticato che Lucio lo stava aspettando affamato. Aveva anche dimenticato di parlarne con fra Tommaso. Troppe cose in un giorno solo. Doveva avvisare padre Bernardo, ma prima era meglio portare qualcosa all’uomo delle galline.
Afferrò una ciotola di latte, vi inzuppò una fetta di pane secco e uscì.
I numerosi acquazzoni di quei giorni avevano reso scivoloso il terreno del giardino. Sentì il fango insinuarsi nei sandali, tra le dita.
Lucio era voltato e stava orinando contro l’angolo in cui aveva dormito.
«Eccomi.»
L’uomo si aggiustò le brache. «Oh, bene. La colazione.»
Prese la ciotola dalle mani del ragazzo e gli sorrise. Si sedette e cominciò a mangiare.
Simone si accovacciò di fronte a lui. Le galline non sembravano essersi calmate. «Ditemi la verità, siete un assassino?»
Lucio annuì masticando. Non un accenno di pentimento o vergogna. Mandò giù. «Ma non uno di quelli a cui piace. Sono un mercenario.» Diede un nuovo morso al pane.
«Ma perché? Perché ostinarsi nel peccato? Quale vantaggio ne traete?»
«Perché, perché… Mica lo decidi. La vita è così.» Indicò il suo saio. «Tu invece? Ti sei appena staccato dalle mammelle di tua madre e sei già in convento. È perché ami Dio o perché il tuo vecchio è povero come un cenciaio?»
«Non era l’unica alternativa. Sto compiendo una scelta di fede.»
Lucio trangugiò il latte dalla ciotola e gliela porse pulendosi con la manica.
Un urlo tremendo ruppe il silenzio. Ancora fra Antonio.
«E del frate sacrilego che mi dici? È pazzo?»
Simone si voltò verso la finestra del fratello. Sospirò. «Gli è capitato di prestarsi per una giuria di boni viri in un processo inquisitorio.»
«E allora?»
«Non è più lo stesso. I frati dicono che è…»
«Impazzito?»
«Indemoniato. Qualcuno crede che il Maligno si sia vendicato di lui perché è un religioso.»
Lucio tirò su col naso. Lo osservò per un momento, si chiuse una narice con un dito e soffiò il muco a terra, poi si trascinò verso l’angolo della nicchia per appoggiarvi la schiena.
«E ce l’avete una gabbia?»
Simone si tirò su. «Niente gabbia. È chiuso nella sua cella.»
«Appropriato.»
«È la sua stanza. Non è il miglior momento per visitare il convento, ma non temete, fratello Lucio, tutto si risolverà con l’aiuto di Dio.»
Lucio distese le gambe e sorrise.
«Il Demonio è un problema da frati. Io ne ho ben altri.»
Simone si sforzò di sorridere. Doveva parlare con padre Bernardo. Si alzò e si allontanò. La voce del mercenario lo raggiunse «Non temere neanche tu! Me ne starò qui buono buono!»
Lasciò la ciotola in cucina, si infilò nel refettorio e uscì nel chiostro. Il bisbiglio lugubre di padre Bernardo usciva dalla cappella. Entrò facendosi il segno della croce. Il vecchio frate era solo.
Gli si accostò. «Padre, devo dirti una cosa.»
«Simone. Pregavo per fra Antonio, come tutti. Vieni, sediamoci» disse portandosi sulla panca «Ti vuoi confessare?»
«No. Cioè, magari più tardi. Un uomo è penetrato nel convento da un’apertura nel muro.»
Il cigolio della spranga al portone. Uno strillo acuto li fece voltare.
«Eccola.» Disse padre Bernardo.
«Chi?»
«La scrofa. Tu va’ a dire al fratello campanaro di radunare tutti. Io vado a prendere fra’ Antonio.»

Il bronzo risuonò dalla torre campanaria come durante un incendio. Nel giro di poco la fraternità era riunita in cappella, ognuno al suo posto, in attesa.
Simone si appoggiava contro il muro di pietra, tanto freddo e umido che nemmeno il saio e la camicia di lino che portava sotto bastavano a proteggerlo dai brividi.
Dal corridoio entrò padre Bernardo. Lo sguardo teso si spostò sui frati, poi fece un gesto verso il corridoio ed entrarono altri due frati. Portavano di peso fra Antonio, pallido e sudato. I capelli appiccicati alla fronte e le labbra bluastre. Gli occhi erano due fessure dietro cui si muovevano frenetici occhi appannati di sonno.
Padre Bernardo cominciò a recitare il Pater Noster seguito dai confratelli.
Padre Umbertino aveva studiato più di tutti al convento ed era fermamente convinto che la situazione fosse chiara. Così aveva proposto di imitare Cristo, come era il caso di fare in ogni circostanza. Anche se la cosa era spaventosa, nessuno se la sentiva di dargli torto.
Si alzò in piedi, la Bibbia aperta tra le mani. Alzò la voce, tanto da intimidire, e cominciò a leggere. «Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni.»
Gli sguardi dei frati erano fissi su fra Antonio.
Padre Umbertino arrivò alla fine.
«E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare.»
Dalla porta della cappella entrò fra Guido con una corda. Si tirava dietro un grosso maiale. L’animale si dimenava e strillava, mentre il frate, noto per essere più grosso che furbo, lo trascinava facendo scivolare gli zoccoli sulle mattonelle del pavimento. Fra Antonio bestemmiò e si tirò in piedi. Con una scrollata di spalle lanciò a terra i frati che lo tenevano. Non aveva più nulla dell’uomo spossato di poco prima. Mostrava i denti come una fiera e i suoi occhi erano stretti in un’espressione di odio feroce.
Padre Bernardo alzò le mani e gridò: «Non smettete, fratelli! Pregate!»
Fra Antonio urlò e il padre Custode riprese rivolto a lui: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io ti esorto: esci, spirito immondo, da quest’uomo ed entra nel maiale!»
Le candele si spensero e la scrofa strillò come colpita da una frustata. Fra Antonio si abbandonò a terra. Qualcuno corse ad accendere un lume e, alla luce tremante della candela, Simone vide il maiale. Sorrideva.

Il convento era in subbuglio. Ogni frate aveva abbandonato il proprio compito e non si faceva che parlare e pregare. Padre Bernardo si era ritirato in un angolo del chiostro assieme a padre Umbertino. Fra Guido non aveva suonato la campana per la sesta, ma nessuno ci aveva badato.
Simone sbirciava da dietro a una colonna, cercando di intuire cosa sarebbe successo.
Uno dei frati raggiunse concitato i padri nell’ombra del chiostro. «Padre Bernardo» sentì Simone dal suo riparo. «La situazione non è buona. La gente del paese era già in subbuglio per le urla blasfeme. Ora che ho portato la scrofa…»
«Non avrai mica detto per cosa la volevamo!» sbottò padre Umbertino.
«Solo al norcino. Un maiale non è un regalo da poco, anche se è una vecchia scrofa. Lui l’aveva da macellare.»
«Che Dio ci protegga!» fece padre Umbertino.
«Com’è la situazione al portone?» chiese il padre Custode.
Il frate scosse la testa. «La gente s’accalca, fa domande…»
Padre Bernardo annuì. «Chiama Simone.»
Simone uscì da dietro la colonna e avanzò verso i confratelli. «Non volevo…»
«Simone, avvicinati.» Padre Bernardo gli mise un braccio attorno alle spalle. «Stamani hai detto che qualcuno ha trovato un’apertura nel muro.»
«Sì, padre.»
«Dov’è quest’apertura?»
«Non lo so. Dice che si vede dall’esterno.»
«Mmm. E quest’uomo è ancora nel convento?»
«Temo di sì.»
«E pensi che sia un uomo meritevole?»
Simone sollevò le braccia.
«Va bene, va bene. Non diciamolo agli altri, per ora. Già troppo allarme. Ora abbiamo un demonio in un maiale e, come accade nel Vangelo di Marco, va precipitato in un burrone.»
«Volete…»
«Sì. Dio ci indica la strada attraverso le scritture. Noi siamo ignoranti e non possiamo che seguire le sue orme.»
Padre Bernardo sospirò. «Andrete tu, fra Tommaso e Felice. Va’ da questo intruso e fatti dire dov’è il passaggio. Uscite senza farvi notare da nessuno e salite attraverso il bosco. C’è un punto a picco sul fiume. Fate attenzione.»
Simone esitò a bocca aperta.
«Ma, il pranzo…»
«Un po’ di digiuno farà bene a tutti nella lotta al Maligno. Sei un giovane di grande fede, Simone, mi affido a te. Che Dio ti aiuti.»
Il vecchio frate si scostò e lo benedì.

Lucio sembrava divertito.
«Lì dentro c’è il demonio?»
«Non scherzare con queste cose» disse fra Tommaso fissando la scrofa. «Non hai visto che ha fatto al nostro fratello.»
«Lucio» cominciò Simone «vorremmo uscire dal passaggio che hai scoperto. Ce lo potresti indicare?»
«E perché mai?»
«La gente si è accalcata al portone. Non vorremmo spaventare nessuno.»
L’uomo rise e liberò un peto. Annuì. «Sicuro. È sul fianco della vostra fontana.»
«Grazie.»
«Ma dì, ragazzo, dove ve ne andate? C’è un bel po’ di nebbia.»
«Questi sono fatti nostri, brigante!» sbottò Felice.
Fra Tommaso gli posò una mano su una spalla. «È nostro ospite, Felice.» Poi a Lucio «non badategli: è molto provato.»
Il frate tirò bonariamente un orecchio al novizio e si diresse alla fontana, seguito da Felice col maiale alla corda. La scrofa era molto tranquilla.
«Dobbiamo portare quel povero animale in cima alla collina» disse Simone tornando a rivolgersi al mercenario.
«Volete attraversare il bosco?»
Simone annuì.
«Voi frati siete davvero coglioni. Tie’…» Da sotto la giubba tirò fuori un coltello col manico di corno. «Speriamo non ti serva.»
«Grazie, ma non posso.»
«Perché, sei un frate ora? Sei novizio, no?»
Simone annuì.
«Allora prendilo. Solo per proteggerti. Te e i tuoi fratelli. Al ritorno me lo renderai.»
Simone lo prese e lo infilò nella manica del saio. Almeno così Lucio sarebbe stato contento. Raggiunse fra Tommaso alla fontana.
«Aveva ragione il tuo amico. L’acqua deve aver scavato sotto al muro.»
Il passaggio fangoso, nascosto dalla fontana, era sufficiente a far uscire un uomo.

Mentre entravano nella boscaglia dietro al convento, la nebbia fluttuava sopra le sterpaglie sparse a terra. Gli alberi si contorcevano, scuri e secchi come vecchie ossa. Un odore fetido saliva dal terreno, simile a carne rancida e muffa.
«Che posto orribile» disse Felice mentre la scrofa gli trottava di fianco. «Non ridete, ma padre Umbertino mi ha detto che da queste parti è stato attaccato da una corocotta.»
«E cos’è?» chiese fra Tommaso ridacchiando.
«Una sorta di cane maligno. Un lupo, ma… un mostro insomma.»
«Non farti spaventare, Felice. Fra Umbertino ha una vivace fantasia, a dispetto dell’età. Rende tutto straordinario. Sarà stato un cane.»
Il pendio diveniva via via più erto e la nebbia più opprimente. Dove non c’erano rovi, il fango e le foglie li facevano scivolare. Tutti e tre avevano le tuniche fradice di fango gelato.
Simone arrancava respirando a bocca aperta. Di fronte a lui il sedere della scrofa ondeggiava, rosa, coperto da una delicata peluria candida. I muscoli erano definiti, sodi. Doveva ammettere che l’animale si dotava di una certa grazia. Non era stupefacente che quegli animali fossero appetibili. Desiderabili. Sensuali.
Simone sentì la bocca asciutta. Si bloccò turbato. Da dove arrivavano quei pensieri?
Serrò gli occhi e cominciò a mormorare un’Ave Maria.
«Non si vede niente» disse Felice sbuffando. «Di questo passo ci finiremo noi nel dirupo.»
Fra Tommaso gli diede una pacca.
«Coraggio, non essere sempre così negativo. Dov’è finita la tua fede? Dopotutto seguiamo la volontà di Dio. Siamo…»
«Mi hai stufato!» urlò Felice.
Fra Tommaso lo guardò sorpreso e risentito.
L’altro riprese. «Stai sempre a rimproverarmi! Sei perfetto tu?»
Il frate abbassò lo sguardo. «Certo che no. Ma nella Regola c’è scritto: i frati ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità.»
«Ma non ordinando ad essi niente che sia contro alla loro anima» concluse Felice lasciando la corda del maiale. «Tu che ne sai della mia anima? E poi, sei tu il maestro dei novizi ora?»
«No, ma…»
«Ma, cosa?»
Simone si fece avanti per raccogliere la corda. «Non litigate.» Come la tirò su, incrociò lo sguardo buio della scrofa e qualcosa in lui fremette.
«Tutti sanno cosa fai, Tommaso. Onanista! Ti hanno sentito gemere nella tua cella, mentre ti procuri piacere!»
«È una menzogna!» gridò il frate.
«E proprio tu mi vieni a scassare la minchia?»
«Felice» intervenne Simone. «Stai esagerando. Fra Tommaso parla per il nostro bene.»
I due si fissavano. Felice annuì. «Vero!» gridò. «Anzi, voglio essere d’aiuto anch’io.»
Si chinò, raccolse un sasso e afferrò il polso del frate.
«Che fai?» urlò fra Tommaso.
Il ragazzo lo strattonò facendolo inciampare e finire bocconi. Gli bloccò la mano su un tronco e sollevò la pietra.
«Correzione fraterna! Marco, nove quarantatré: se la tua mano ti scandalizza, tagliala!»
Il sasso si schiantò sulle dita e il frate strillò. Uno schizzo di sangue bagnò il legno scuro. Felice sollevò la pietra. Tre dita di fra Tommaso erano piegate in modo innaturale, la pelle lacera e sanguinante. Il sasso crollò ancora e ancora tra le grida sguaiate del poveretto.
Simone era paralizzato. Non credeva a ciò che vedeva. Possibile che fosse…
Guardò la scrofa: l’animale stava sorridendo come una persona.
Urlò, gettò la corda e corse a valle coprendosi il viso, finché non sentì più il suono dei colpi e le urla. Stringeva il coltello.
Avrebbe potuto aiutare Tommaso? «Ma come? Pugnalando un fratello! Oh, Dio! Cosa mi stai facendo?»
Si rannicchiò a terra e pianse.

Ritrovò la forza che era quasi il crepuscolo. Si alzò e riprese a correre. Doveva avvisare padre Bernardo.
Arrivò in vista del portone e si ricordò della gente accalcata. Erano ancora lì. Corse al passaggio nel muro e ci si infilò. Il fango sembrò cercare di ingoiarlo, finché sentì una mano che lo tirava. Era Lucio.
«Calmati, fratellino. Che ti prende?»
«È pazzo! Il mio confratello ha… è la scrofa!»
Un fremito interiore. L’immagine seducente della maiala colpì i suoi sensi. Sentì la resistenza della tunica contro l’erezione. «Oh Dio!»
«Sta’ calmo, Simone. Sei ferito?»
Il ragazzo corse verso il chiostro. «Padre Bernardo! Padre Bernardo!»
Raggiunse il portico. Qualcuno urlava. Erano i frati.
Si fece avanti con prudenza. Le urla venivano dal refettorio. Lo raggiunse, mosse dentro un passo e fu investito dal caos.
La scrofa sorridente stava al centro della sala. Erano tornati.
Dietro di lei, fra Guido era nudo e le spingeva dentro, sbuffando coperto di sudore. Padre Umbertino era sdraiato sotto un tavolo e si levava la pelle del viso con una forchetta. Fra Leone picchiava Padre Serafino privo di coscienza e coperto di sangue. Padre Bernardo piangeva cercando di strappare il crocefisso dal muro con un attizzatoio.
Un coltello da cucina si abbatté contro la porta e ruzzolò sul pavimento. Simone si voltò. Felice lo guardava paonazzo, digrignando i denti.
Simone corse fuori. Lucio lo bloccò e gli diede una scrollata.
«Che ti prende?»
«Li senti? Sono impazziti! È il Demonio nella scrofa!»
«Allora va’ lì e accoppa quel maiale.»
«Non posso!»
«E allora andiamocene, cazzo!»
«E i miei fratelli? Non posso lasciarli così.»
«Ragazzo, ti devi decidere. Vuoi fare qualcosa o no?»
Simone cercò attorno, come se la soluzione potesse trovarsi tra i ciuffi d’erba e il fango. Stava impazzendo anche lui? Si strinse le tempie.«Fallo tu! Cos’è per uno come te uccidere un maiale?»
«No! Io col Demonio non mi batto. Te l’ho detto: è roba da frati. E poi ho paura.»
«Paura?»
«Non dovrei? E poi sono fratelli tuoi, mica miei.»
«Ma ti hanno dato ospitalità!»
«Non è sufficiente.»
Simone si immaginò di entrare, scansare Felice e i suoi coltelli, arrivare alla scrofa e…
Cadde in ginocchio, raccolse del fango e ci si imbrattò il volto piangendo. «Non posso! La desidero, capisci? La voglio possedere come in un cantico perverso! Se mi avvicino sarò di certo preda di un istinto diabolico.»
«Tutto qui?»
Simone sollevò la testa. «Come sarebbe?»
«Fa’ così: va’ dietro al pollaio e lustrati l’arnese per bene.»
«Cosa?»
«Mettiti nascosto e toccati. Così poi non avrai più voglie e potrai fare secco il maiale.»
Simone si asciugò gli occhi. «È peccato mortale. Io sono un novizio.»
«Sei solo mezzo frate. E non è come farsi una scrofa.»
Simone scosse la testa. Lucio non era una guida affidabile, non sapeva che diceva.
«Senti» riprese quello, «pensi che fotterei una scrofa?»
«Certo che no.»
«Io invece non mi sorprendo che lo voglia fare tu. Non hai mai visto una donna, fratellino. Scommetto che quando vai a pisciare non ti guardi nemmeno l’uccello. Avrai i coglioni gonfi come fichi maturi. Sei ingabbiato dalle regole dei frati.»
«Della Chiesa.»
«Di chicchessia.» Lucio lo afferrò per le spalle e lo fece alzare. «Fatti questa sega e salva i tuoi fratelli.»

La tensione era sparita lasciando spazio alla lucidità. Simone si sporse nel refettorio, coltello in pugno. Felice era voltato col volto chino a terra.
Entrò senza far rumore e avanzò verso il maiale. Come previsto da Lucio, non provava più alcuna tentazione. Arrivò davanti alla scrofa. Quella lo guardava ancora. Memore dell’infanzia contadina, si chinò e le aprì la gola con un taglio profondo. Litri di sangue si riversarono a terra, le palpebre calarono sugli occhi neri. L’animale cadde con un tonfo. Allora i frati smisero di urlare. Erano spaventati, feriti, smarriti. Ma salvi.


Il fiume scrosciava in lontananza. Ottavia non era giovane, e nemmeno una bellezza, ma la sua risata diceva che era un’amante appassionata.
«Una nutrice? Sembra bellissimo.»
«Che sciocchezze dici, ragazzo?»
«Simone. Ho quasi ventun anni, sono un uomo.»
La donna rise ancora e provò a superarlo frapponendo tra loro il secchio con la biancheria.
«Lasciami stare o mio marito le suonerà a tutti e due.»
«Che ci provi, Ottavia. Lo sai che io ho fronteggiato il Demonio in persona? Se vorrai incontrarmi al fiume domani, te lo racconterò.»
La donna si allontanò ridacchiando. «Tu sei pazzo, Simone!»
Non si sarebbe presentata. Era pericoloso ed era peccato. Ma qualcun’altra, prima o poi, l’avrebbe fatto.
Lucio uscì dalla taverna stropicciandosi gli occhi.
«Allora, fratellino! Sei pronto?»
«Pronto? Ti aspettavo.»
«Bene» disse il mercenario sbadigliando. «Andiamo a prendere a schiaffi quest’altro mercante. Stasera si mangia stufato.»

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